Notule

 

 

(A cura di LORENZO L. BORGIA & ROBERTO COLONNA)

 

 

 

NOTE E NOTIZIE - Anno XX – 28 gennaio 2023.

Testi pubblicati sul sito www.brainmindlife.org della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a notizie o commenti relativi a fatti ed eventi rilevanti per la Società, la sezione “note e notizie” presenta settimanalmente lavori neuroscientifici selezionati fra quelli pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui argomento è oggetto di studio dei soci componenti lo staff dei recensori della Commissione Scientifica della Società.

 

 

[Tipologia del testo: BREVI INFORMAZIONI]

 

Scoperto un rapporto specifico tra un pattern di attività corticale e un movimento imminente. Pattern neurali spaziotemporali che si propagano attraverso aree corticali sensoriali, motorie e associative si studiano da tempo, ma solo raramente sono risultati veicolare informazioni comportamentali, peraltro molto generiche. Wei Liang e colleghi per la prima volta hanno identificato un’attività spazialmente organizzata attraverso la corteccia motoria che informa su dettagli di un movimento imminente. La scoperta sarà di grande utilità per la ricerca sulle interfacce robotiche cervello-macchina. [Liang W., et al., PNAS USA – AOP doi: 10.1073/pnas.2212227120, 2023].

 

Declino senile della memoria: come è influenzato da BIN1, salute vascolare e genere. Analizzando i dati di 623 adulti per 44 anni della loro vita, dall’età di 53 anni ai 97 (Victoria Longitudinal Study), sulla base di due fattori di rischio per la malattia di Alzheimer, il gene BIN1 e la salute vascolare, Heal Mackenzie e colleghi hanno valutato le prestazioni di memoria. Il declino della memoria era accresciuto dalla cattiva salute vascolare e, nei positivi a BIN1, neanche la buona salute vascolare risultava protettiva per la memoria. Gli uomini positivi a BIN1 con cattiva salute vascolare presentavano un declino mnemonico molto marcato che non si rilevava nelle donne. [Mackenzie H., et al., Journal of Alzheimer’s Disease 89 (1): 265-281, 2022].

 

Scoperta sul ritmo dell’orologio principale ipotalamico con due nuove tecniche di rilevazione in vivo. Mediante microscopia del Ca2+ e registrazione di attività di singole unità come bersaglio optogenetico, è stato studiato il ritmo dei neuroni esprimenti AVP sia al livello cellulare individuale sia al livello di rete. Il nucleo soprachiasmatico dell’ipotalamo (SCN), detto “orologio principale”, è costituito da popolazioni funzionalmente distinte di neuroni GABAergici che formano una rete neuronica responsabile della sincronizzazione della maggior parte dei ritmi fisiologici nei mammiferi. Fino a oggi non è stato chiarito quali aspetti della ritmicità siano generati dai singoli neuroni SCN e quali derivino dalle interazioni all’interno della rete. Adam Stowie e colleghi, con le nuove tecniche in vivo hanno accertato che le proprietà emergenti dalla rete sono più importanti dell’attività dei singoli neuroni SCN per la ritmicità dell’organismo. [Cfr. Stowie A., et al., PNAS USA – AOP doi: 10.1073/pnas.2209329120, January 19, 2023].

 

Disturbi dello spettro dell’autismo (ASD): durata della vita in una nuova stima. Numerosi studi anche recenti hanno rilevato una notevole riduzione statistica della durata della vita nelle persone affette da ASD; Morgan Krantz e colleghi della Ohio State University e della Wisconsin-Madison hanno trovato una differenza di soli tre anni con la popolazione generale nella mediana dell’età del decesso. In particolare, hanno osservato che se una persona con ASD riesce a raggiungere i 65 anni potrà avere la stessa aspettativa di vita delle persone non affette. [Cfr. Krantz M. et al., Research in Autism Spectrum Disorders 100: 102077, Feb. 2023].

 

Identificata la base di una modulazione della motivazione legata al sesso. Topi maschi e femmine in compiti di decisione basati su valori compiono scelte simili ma, hanno rilevato Julia Cox e colleghi, la motivazione delle femmine a impegnarsi nel compito è modulata in modo molto più marcato dal valore dell’azione. L’inibizione dei neuroni della corteccia cingolata anteriore (ACC) che proiettano allo striato dorso-mediale (DMS) compromette la relazione tra valore e motivazione particolarmente nelle femmine. Coerentemente, nelle femmine i neuroni ACC-DMS hanno una rappresentazione più forte degli esiti negativi e più neuroni sono attivi quando è basso il valore dell’opzione scelta. ACC-DMS è dunque un sostrato neurale sesso-specifico modulante la motivazione. [Cox J., et al. Nature Neuroscience – AOP doi: 10.1038/s41593-022-01229-9, 2023].

 

Risposte corticali al dolore: forse si è risolto un problema di interpretazione. Il significato funzionale delle risposte EEG al dolore, per la loro estrema variabilità, rimane controverso. Dounia Mulders e colleghi hanno riconosciuto all’origine della variabilità, almeno in parte, il grado di affidabilità della stima probabilistica emergente dalle sequenze di input algici. Il cervello si basa meno sull’input sensoriale quando è più elevata l’affidabilità della previsione, e la risposta corticale al dolore è modulata da un apprendimento statistico tarato sull’affidabilità. [Cfr. Mulders D., et al., PNAS USA – AOP doi: 10.1073/pnas.2212252120, January 20, 2023].

 

Le septine umane formano filamenti e mediano l’ancoraggio actina-membrana. Le septine sono proteine del citoscheletro conservate nella filogenesi dalle alghe ai mammiferi. Anche se le septine animali sono ampiamente associate alle strutture basate sull’actina delle cellule, non era finora noto se fossero organizzate in filamenti e ciò influisse sulla loro funzione. Carla Silva Martins e colleghi propongono che l’organizzazione delle septine come filamenti basati sull’ottamero sia essenziale per la funzione delle septine nell’ancoraggio e nella stabilizzazione dei filamenti di actina alle membrane plasmatiche. [J Cell Biol. 222 (3): e202203016, Mar 6, 2023].

 

Credere in Dio non è una libera scelta dell’intelletto. Un’esigenza dell’uomo, che possiamo studiare in chiave psicologica o antropologica, evidenzia l’esistenza di un’istanza di necessità profonda che trova eco nella dimensione cosmica, e appare quale fondo dell’esercizio dell’intelletto e sfondo per l’analisi dell’esistente.

Per l’ateo è la fede dell’uomo a creare Dio, per il credente la fede è un riflesso nell’uomo della fedeltà di Dio che lo ha creato. Ma rimane un fatto: la fede esiste. Non in tutti, non sempre, e si può perdere, acquisire o ritrovare, ma rimane quale presenza costante nella vicenda umana. Se la fede origina – come sembra – da un’esigenza psichica, allora ciò che appare – o si vuole che sia – una libera scelta dell’intelletto conseguente all’esercizio della ragione su fatti di conoscenza, dovrebbe essere riconsiderato quale processo mentale influenzato da questa necessità.

Inoltre, se è vero che tale profonda esigenza esiste, non dovrebbe essere ignorata o trascurata da chi studia la psiche e men che meno da chi pratica la psicoterapia.

Nel pensiero contemporaneo, per dimostrare la qualità necessaria di qualcosa si segue un modo che possiamo rintracciare in Cartesio, Hobbes, Leibniz, Hegel e che è sempre più diventato una sorta di modulo procedurale: ridurre all’assurdo la sua impossibilità. Rimanendo alla familiare concretezza di un esempio biologico, per dimostrare la necessità di mangiare si parte da questa evidenza: non esiste un organismo vivente senza bocca e per questo privo della possibilità di alimentarsi.

Seguendo lo stesso criterio, per dimostrare la necessità psicologica della fede in Dio si dovrebbe partire dall’evidenza che l’impossibilità di aver fede per individui dotati di libero arbitrio è un assurdo. Ma qui non andremo oltre nell’applicare un modello di ragionamento originato dal razionalismo filosofico seicentesco, in quanto l’esigenza di credere è dimostrata da una lunga tradizione di studi di psicologia individuale, che trovano conferma in tracce e testimonianze archeologiche, antropologiche e storiche dagli albori del genere umano ai giorni nostri. E il bisogno di credere, a quanto pare, similmente alla maggior parte della fenomenica biologica indagata nelle popolazioni, presenta un carattere di distribuzione gaussiana, ossia la sua rappresentazione grafica può accostarsi a quella di una curva a campana.

Tale bisogno è dunque fondo per l’esercizio dell’intelletto, e quanto maggiore è l’intensità con cui si manifesta tanto più grande sarà la bias, ossia la tendenza inconscia che eserciterà sulla riflessione intesa a scegliere o decidere.

Il Dio ebraico-cristiano, come Creatore, propone agli uomini tutto l’esistente cosmico come un caso del possibile originato da una volontà, così che convenzionalmente in filosofia, partendo dall’orizzonte dei Greci, si dice che JHVH ha fatto prevalere il possibile sul reale.

Leibniz è sicuramente l’anticipatore di una visione affermatasi nella cultura occidentale: Dio è l’Ens realissimum, attualità di tutto il possibile che ha in lui il suo fondamento reale. Salvatore Natoli osserva: “Nello svolgersi della modernità, il Dio della metafisica si è progressivamente dissolto, ma a partire da qui il possibile ha preso a dilagare libero e per suo conto. Di qui l’alone di improbabilità che circonda le cose, gli eventi della nostra contemporaneità”[1].

Ma prima che questo processo si compisse – seguendo Natoli che lo dà per compiuto secondo la posizione ateistica – è sulla visione del mondo giudaico-cristiana che il pensiero occidentale ha sviluppato l’idea di cosmo, difesa anche nella letteralità della forma dei testi tradizionali dalla Chiesa, nel periodo in cui vedeva minacciata la coerenza della dottrina dal paradigma scientifico copernicano-galileiano, ma poi evoluta riconducendo la visione cristiana alla sostanza spirituale dei cieli mistici e integrando la materialità della conoscenza dei corpi celesti nel campo dei saperi umani. Per questo si diceva che il bisogno di credere è stato ed è sfondo per l’analisi dell’esistente.

Natoli riprende: “Nel momento in cui questo Dio svanisce, prolifera l’incondizionato delle possibilità. L’acosmismo moderno – per usare una formula della Arendt – è l’esito di un universo lasciato vuoto da Dio”[2]. Ma questi filosofi parlano per sé stessi[3], perché se così fosse non avremmo moltitudini di credenti che seguono i viaggi del Papa, miliardi di fedeli impegnati in tutto il mondo a vivere secondo le grandi religioni monoteiste e un incalcolabile numero di studi e saggi religiosi pubblicati ogni giorno in tutto il mondo.

La tradizionale interpretazione del bisogno di credere come necessità di trovare un senso alla vita, può considerarsi una razionalizzazione dell’esigenza psicologica più profonda, che sembra preesistere a ogni riflessione cosciente. Per il credente, questa spinta interiore è il segno impresso dal Creatore nella creatura, tra i non credenti alcuni la considerano conseguenza di una pulsione di vita che induce a cercare nel metafisico l’immortalità, altri la ritengono parte di un bisogno di condivisione totalizzante del proprio essere o di comprensione accogliente e protettiva della psiche sofferente simile all’affidamento alla madre del bambino nella prima infanzia.

Quale che sia la sua origine, questo bisogno esiste e, quando si manifesta, rende la scelta dell’intelletto tanto libera quanto quella di mangiare o bere quando si ha fame o sete. [Monica Lanfredini - elaborazione da una relazione del presidente. BM&L-Italia, gennaio 2023].

 

Mente-Corpo: un punto di vista proposto in modo originale. Sotto un portico cittadino si sente la marimba di bravi musicisti di strada scandire le note dell’evergreen Sway di Dean Martin sul trascinante ritmo del calypso, e poi sfumare in fading mentre la cantante, una diafana, incantevole figura angelica dai lunghissimi capelli biondo cenere, accostandosi con stile al microfono, rivolge al pubblico occasionale e ai numerosi passanti, in un buon italiano con accento straniero, un discorso sul senso di un rapporto di profonda consapevolezza con il proprio corpo, contrapposto all’imperante strumentale superficialità d’uso.

La castità – spiega la ragazza – è oggi intesa come la verginità fisica conservata con impegnativa sottomissione dell’istinto all’intelletto, ma questo modo riduttivo e comportamentista non coglie l’essenza del valore intuito già nell’antichità greco-romana e poi comunicato al mondo dalla conoscenza ebraico-cristiana. Il concetto terreno di castità non è altro che un riflesso e una emulazione della Purezza divina fondata sull’Amore. Ed è proprio da qui che bisogna partire se si vuol comprendere cosa voglia dire nella totalità integra del corpo e della mente l’essere casti. L’amore, confuso dall’imperante imbarbarimento dei costumi con il desiderio fisico, consiste propriamente nell’oblazione spirituale di sé, che richiede la rinuncia all’egoismo del piacere svincolato dalla responsabilità procreativa, e l’entrata in una dimensione di perfetta fusione della mente col corpo in una unità coerente, dalla quale procede naturalmente, senza sforzo, l’attenzione prioritaria ai valori preminenti. In tal modo, il desiderio fisico nascerà solo quale conseguenza della fusione sentimentale tra due persone nel progetto fondativo di una famiglia.

Alla domanda se facessero parte del Grail Movement, la ragazza ha risposto di conoscere molti aderenti e apprezzare le loro iniziative, ma di essere cristiana di confessione cattolica. Il Movimento del Graal nato dalle 168 conferenze di Oskar Ernst Bernhardt (detto Adb-ru-shin) in Germania, promosso da Austriaci del Tirolo e diffuso in Francia e in Canada, oggi conta molti aderenti in tanti paesi, fra cui Nigeria e Costa d’Avorio. La diffusione di questa esperienza pone all’attenzione scientifica l’effetto sugli stati mentali e sull’atteggiamento psicologico della scelta di castità. [BM&L-Italia, gennaio 2023].

 

“Chi se ne importa?” Ovvero: l’istanza di cui ti fai latore non ha legittimità nella mia giurisdizione di me stesso. La frase implicitamente proibita al bambino nel rapporto educativo coi genitori, fondato sull’ascolto interessato e obbediente, emerge nel gioco di fantasia quasi nella funzione di trasgressione simulata per allentare il peso psicologico dell’obbedienza, come formula rivolta più che all’interlocutore al suo ruolo nel gioco. Infatti, l’apparente negazione di legittimità all’istanza pone in questione il riconoscimento dell’altro come “abilitato a esporre questioni di cui tener conto”, ed è come se si dicesse: “Chi sei tu perché io tenga conto di ciò che dici?”

Il “Chi se ne importa?” sembra implicare l’arrogarsi il diritto e l’assumere il potere di attribuire valore all’identità di ruolo dell’altro, a somiglianza di quanto fanno gli adulti quando dicono: “Chi se ne importa di ciò che dice il Tizio o il Caio?” Talvolta fingendo di liberarsi da un ingiusto vincolo di dipendenza, ma di fatto a volte rifiutando l’interdipendenza della solidarietà umana.

Questo tema è stato affrontato nell’incontro settimanale del nostro gruppo di studi dedicato all’influenza degli stili sociali degli adulti sul gioco di fantasia o finzione dei bambini. [BM&L-Italia, gennaio 2023].

 

La mente medievale alle origini del mentale moderno e contemporaneo (II) è una tematica che stiamo sviluppando al Seminario sull’Arte del Vivere (v. Note e Notizie 21-01-23 Notule), e siamo giunti al secondo incontro. Ecco in sintesi gli spunti su cui si è maggiormente focalizzata l’analisi e la discussione di questa settimana.

L’ossessione dell’invisibile, secondo la definizione di Jacques Le Goff, ovvero la credenza che tutto il mondo materiale fosse compenetrato e pervaso da un immateriale invisibile pronto a manifestarsi, influenzava il modo di concepire lo spirito, la volontà e la personalità. Il potere che si attribuiva al destino era l’altra faccia di questa medaglia: l’invisibile, inteso anche come “variabile ignota” insita nella realtà stessa, poteva vanificare ogni determinazione umana. Era convinzione diffusa, salda e tramandata, non solo presso il popolo incolto, ma anche nelle classi sociali più istruite, che tra il visibile e l’invisibile non vi fossero frontiere o cesure, ma una vera e propria continuità: molti ritenevano che la propria mente potesse essere penetrata da spiriti e sostanze immateriali in grado di mutarla. A sostegno di questa credenza si invocavano realtà e significati di sogni e visioni, la cui essenza trascendente ispirava atteggiamenti superstiziosi e pratiche magiche.

La Chiesa combatteva con impegno queste idee di antico retaggio pagano, soprattutto facendo opera di istruzione e riconducendo tutto il trascendente alla tradizione biblica. La stessa fede nei miracoli, se nei veri credenti costituiva una semplice estensione delle verità di fede a fatti accertati dalla Chiesa, nelle persone sicure dell’esistenza di energie, forze ed essenze misteriose diventava la conferma dell’esistenza di una dimensione irrazionale polimorfa e sovrannaturale capace di fare irruzione attraverso prodigi nella realtà quotidiana dell’uomo.

Scrive Le Goff: “Esisteva tra cielo e terra una circolazione permanente nei due sensi, utilizzata in una direzione dagli angeli, dai demoni e dagli spiriti dei morti, e nell’altra da quegli esseri umani privilegiati che erano ammessi a salire i gradini della scala di Giacobbe”[4].

A partire dal XII secolo vi fu un impegno clericale a favorire l’interiorizzazione del soprannaturale, per combattere questa visione. Si ritiene che lo sviluppo della mistica e di molte pratiche devozionali abbia avuto impulso dalla necessità di contrastare la concezione magica del trascendente. [BM&L-Italia, gennaio 2023].

 

Risposta a una domanda su “Nella mente del terrorista islamico” (Note e Notizie 21-01-23).

Domanda: Se esiste realmente una differenza tra integralismo islamico e integralismo cristiano come può essere espressa in sintesi?

Risposta: Le differenze sono numerose, sostanziali e attestate dagli studiosi delle religioni. Qui ci limitiamo, per aderire alla richiesta di sintesi, a rilevarne solo alcune tra le più evidenti.

L’Islam contempla l’indottrinamento coercitivo, Gesù Cristo non ha mai costretto nessuno alla conversione. L’Islam intende affermare mediante l’uccisione di chi non è musulmano, attraverso assassini di massa e massacri bellici, il potere temporale oltre che spirituale di Allah sul mondo. Il cristianesimo predica l’amore del nemico oltre che del prossimo e intende, attraverso l’esempio del dono della propria vita per gli altri, portare lo stato di grazia della reciprocità del bene che realizza il Regno di Dio sulla terra. L’interprete dell’integralismo islamico predica odio e morte; l’interprete dell’integralismo cristiano predica amore e vita; il primo, per andare oltre l’ordinario regime di sottomissione a Dio del ramadan diventa guerriero di jihah (ghazi); il secondo, per andare oltre le ordinarie astensioni della quaresima, si dedica a digiuni, preghiere e opere di bene.

Le centinaia di migliaia di persone torturate e massacrate inermi per tre secoli dai Romani costituiscono il prototipo del martire cristiano che, nel suo “integralismo”, preferisce la morte a una finta conversione al paganesimo. I membri delle sette di omicidi jihadisti costituiscono il prototipo dello shahid islamico. Una differenza capitale è nel concetto di peccato: per gli islamici consiste in una trasgressione letterale della legge coranica; per i cristiani il peccato è una mancanza di amore che ha un nucleo psicologico nell’egoismo e può andare dal peccato veniale di essere poco generosi verso Dio e verso il prossimo, al peccato mortale dell’odio fino al più orrendo dei crimini, l’omicidio, che consiste nel divenire braccio esecutivo di Satana “omicida fin dal principio”.

Ci fermiamo qui, per rimanere “sintetiche” [Giovanna Rezzoni & Monica Lanfredini BM&L-Italia, gennaio 2023].

 

Notule

BM&L-28 gennaio 2023

www.brainmindlife.org

 

 

 

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[1] Salvatore Natoli, Parole della filosofia – o dell’arte di meditare, p. 126, Feltrinelli, Milano 2004.

[2] Salvatore Natoli, op. cit., p. 127. Il termine acosmismo, coniato da Hegel per la filosofia di Spinoza, voleva indicare che il cosmo non esiste (a-kosmos) senza Dio; Hannah Arendt usa acosmismo nel significato di alienazione dal mondo.

[3] Negli anni Sessanta fu avanzata la tesi della “morte di Dio” da un gruppo di teologi e denominata con l’ossimoro “Teologia della morte di Dio”; tra i sostenitori della tesi vi era un vescovo anglicano: John Arthur Thomas Robinson. In sostanza, influenzati dai filosofi analisti, costoro sostenevano che nel mondo contemporaneo lo spazio del metafisico si è dissolto e l’esperienza di Dio è esperienza della sua assenza. L’attualità internazionale si ebbe con la pubblicazione sulla rivista Time, tra il 1965 e il 1966, di una serie di testi di esponenti di questo gruppo.

[4] Jacques Le Goff, Il Medioevo – Alle origini dell’identità europea, p. 107, GLF Editori Laterza, Roma-Bari 2002.